Torino – Pechino: l’essenza di un viaggio in treno dall’Italia alla Cina

Il ‘viaggio che non è un viaggio” e tutte le riflessioni che porta con sé. Ricordi e scorci di Vita sparsi su un terzo di mondo

Questo che scrivo è probabilmente uno degli articoli più importanti nella mia vita di viaggiatore, per lo meno fino ad oggi. Il pretesto è il fatto di poter aggiungere all’elenco delle “cose difficili che son riuscito a fare nella mia vita”, l’essere andato da Torino a Pechino in treno. E fin qui, tutto ok. Restano però in sospeso alcune domande importanti, che mi pongono gli amici, le persone che mi intervistano in merito a questo viaggio, e che in fin dei conti io stesso mi pongo.

Banalmente…Perchè? Che c’è di speciale a passare un mese sopra un treno? Cosa ti lascia un viaggio così? Lo rifaresti?

Un quadro realizzato con tutti i biglietti ferroviari del tragitto Torino – Pechino e qualche foto

Il viaggio da Torino a Pechino si potrebbe definire come un “viaggio che non è un viaggio”, almeno nel senso comune che si da a questa parola oggi così inflazionata. Sono stato in 8 paesi diversi, ma non posso dire di averne conosciuto bene nemmeno uno (esclusa forse la Russia). Ho messo tante “x” sui luoghi del mondo che volevo visitare, ma nessuno di questi ha avuto il tempo di entrarmi nel cuore come accaduto in passato durante i miei viaggi. In sostanza, è stata un po’ una “Degustazione di Mondo”, come quelle fiere alimentari dove si assaggia tutto senza mangiare niente.

E’ stato anche un viaggio oltremodo stancante. Sempre in movimento, tappe forzate, giornate infinite, zaini pesanti (ma quella è colpa mia, portarsi reflex e laptop dietro ha il suo prezzo). Il treno era il momento di riposo, dove sistemavo le foto e vi scrivevo questo blog, mentre Andrea leggeva e scriveva poesie. Per farvi capire, al rientro in Italia abbiamo realizzato di aver perso circa 6 kg a testa, cosa che sospettavamo da tempo perché verso la fine del viaggio avevamo dovuto inventarci qualcosa per fare un buco in più alle nostre cinture.

Ma non fraintendiatemi, non sto screditando questa esperienza, anzi. La filosofia cinese dello Yin e dello Yang insegna che in ogni aspetto della vita c’è un pro e c’è un contro, e Torino-Pechino non fa eccezione: il senso più profondo del viaggio prescinde dalla fugacità delle tappe, ed è ciò per cui consiglierei a un amico di ripetere la mia esperienza.

Un viaggio in treno dall’Italia alla Cina, attraverso 6 fusi orari e culture diametralmente opposte tra loro, ha sulle menti un effetto simile al “mi è passata la vita davanti”, di chi prende un brutto spavento, o si sente in forte pericolo, solo che la vita che ti passa davanti agli occhi…non è la tua. E’ quella di un mondo che riflette in infiniti modi diversi l’immensa luce dell’esistenza, come fanno le onde del mare con la luce del sole. Parlo di abitudini alimentari, abitative, religiose, culturali, sociali, e via a proseguire in una lista infinita.

Ho visto il mondo cambiare in ogni suo aspetto dal finestrino di un vagone, e ci ho visto un unico enorme denominatore comune: la Vita, appunto. Quella con la V maiuscola, dove tutto è unito, tutto scorre sotto il Grande Cielo Blu, come dicono i saggi della Mongolia.

Il paesaggio della Mongolia

Penso al cibo Italiano, alle zuppacce russe e l’agnello mongolo. Penso alle case galleggianti di Venezia, alla lamiera del Baikal e alle Ger della steppa. Penso ai Cattolici, agli Ortodossi e ai Buddhisti. Penso all’eleganza dei Viennesi e agli sputi dei Cinesi, alle usanze russe e quelle polacche.

Penso infine alle grandi tragedie del passato che mi hanno fatto visita lungo il percorso. In particolare, non ho potuto fare a meno di notare che il tema-guida di tutto il viaggio, inspettatamente, è stato quello della guerra. Ricapitolando

  • Il ghetto di Varsavia, e le memorie dell’olocausto.
  • Le celebrazioni del 70°anniversario della vittoria nella seconda guerra mondiale (o guerra patriottica) in ogni città della Russia, da Mosca a Irkutsk.
  • Sergej che sul treno Mosca – Krasnoyarsk mi dice che la guerra è una cosa brutta, apparentemente senza motivo.
  • Viktor che guida i carriarmati nell’armata Rossa.
  • La nipote di Larissa vesitita da militare nelle foto di quella stranissima chiavetta USB.
  • La storia di Gengis Khan in Mongolia.
  • La parata militare a Pechino.

Piazza Tienanmen chiusa per la parata celebrativa dei 70 anni della vittoria sul Giappone

Ogni volta che approfondivo il passato di un paese, era sempre la solita storia, sempre lo stesso pattern che si ripeteva nei decenni. Esseri umani che uccidono sistematicamente altri esseri umani, talvolta con l’alibi di un’uniforme, talvolta seguendo qualche malsano ideale.

La tematica dello sterminio di massa si fa tanto più forte quanto più si va verso est; in Russia prende il nome di “Purghe”, in Cina di Rivoluzione Culturale, mantenendo invariata la sostanza. Milioni di persone morte per disegno di uno statista. Centinaia di monasteri antichissimi rasi al suolo e sostituiti con palazzi di cemento. Monaci inermi sterminati. Tradizioni cancellate. Campi di concentramento. Torture medievali. La Transiberiana stessa è una ferrovia macchiata di sangue, in migliaia morirono nei lavori forzati per la sua costruzione nei mortali inverni siberiani.

Tutto questo è poi particolarmente evidente in Cina, dove poco resta oggigiorno di un florido mosaico di tradizioni e usanze religiose, e non vi nascondo che dentro di me ho spesso provato un forte senso di rabbia verso questa sistematica distruzione. Era la stessa rabbia che provavo sui banchi di scuola quando si parlava di olocausto, o che provo oggi nel sentire le notizie che arrivano dalla Siria, e questo mi ha fatto pensare: noi Italiani siamo storicamente concentrati sui crimini del Nazifascismo, e questo è giusto, perché è la storia del nostro popolo e dei traumi scolpiti nell’anima dei nostri nonni. Non credo però si pecchi di qualunquismo nel dire che dall’altra parte del mondo sono successe le stesse identiche cose, anche ben più gravi in termini di numeri di vittime (secondo alcune stime Mao sarebbe il diretto responsabile della morte di oltre 40 milioni di persone). Lungi da me scadere in un paragone ideologico basato sulla conta dei cadaveri “politici”, perché il concetto a cui voglio arrivare, è il profondo senso di uguaglianza che ho respirato in ogni chilometro da Torino a Pechino.

Abbiamo lingue diverse ma tutti comunichiamo.
Abbiamo lineamenti diversi, ma tutti abbiamo un viso che trasmette emozioni.
Abbiamo culti diversi, ma tutti preghiamo.
Abbiamo storie e regimi diversi, ma tutti abbiamo sofferto.
Abbiamo tutti un buon motivo per essere orgogliosi, e più di uno per vergognarci agli occhi degli altri.

Mentre il treno scorreva sugli infiniti binari del mio viaggio, tutto questo entrava lentamente dentro di me, e nella mia visione mentale del mondo l’ Eurasia non aveva più confini, le lingue si mescolavano, le differenza sparivano e le persone che incontravo non erano i reperti occasionali di una vacanza, ma gente della mia vita quotidiana.

A distanza di qualche settimana dal rientro in Italia, nella mia mente compaiono ancora ogni tanto flash di ciascuna delle tappe di questo viaggio, che vi ho raccontato tappa per tappa con parole e immagini.

L’amico Piero che ci viene a trovare a Venezia.

La notte traumatica sul treno per Vienna.

Il tramonto di Praga.

La città vecchia di Varsavia, e il treno per Mosca.

La prima frontiera e le donne che assaltano il treno mentre gli cambiano le ruote.

L’ingresso in piazza Rossa, nella Mosca occidentalizzata.

La Transiberiana, e i miei compagni di viaggio di ogni generazione.

La Siberia, le emozioni di Krasnoyarsk, e l’arrampicata più estrema della mia vita.

Il Lago Baikal e lo scenario angosciante di Khuzhir.

Il “giorno di dolore” e le 40 ore di digiuno e apocalisse gastrointestinale tra Irkutsk e Ulan Baatar. La Mongolia, il Buddhismo, il deserto, la pace dell’anima che riposa in una Ger.

E poi Pechino, gli amici di ABCina, la pioggia e la Muraglia.

Tutto concentrato in un pugno di settimane, tutto alla lenta velocità delle rotaie, tutto in compagnia di un amico Vero (nonchè uomo bellissimo, se ricordate questo teaser), un grande viaggiatore, tra le pochissime persone con cui avrei potuto fare un viaggio simile. Io e Andrea, per gli amici John, porteremo per sempre in cuore il ricordo di questa piccola impresa, e di quello che abbiamo condiviso, compresi i lunghi silenzi passati a guardare il finestrino, a leggere libri, a scrivere poesie. In fondo è solo quando si riesce a condividere il silenzio, che si è davvero in buona compagnia, e di questo gli sarò sempre grato.

Un collage di tutte le foto fatte lungo il percorso con il mio grande compagno di Viaggio

Torino-Pechino è stato “un viaggio che non è un viaggio”, ma che trasmette il senso più intimo della bellezza di viaggiare.

Viaggiare è guardare il tramonto con occhi nuovi ogni sera.

Viaggiare è scoprire che il nostro piccolo mondo quotidiano non è che una goccia in un mare sterminato.

Viaggiare è assaporare il gusto delle distanze e conquistarsi con pazienza una nuova meta, ben sapendo che la vera meta è sempre casa propria, per ritornarvi cresciuti, migliorati, con una maggiore consapevolezza e apertura mentale da mettere al servizio del mondo ogni giorno.

Viaggiare è immergersi nel flusso incessante di vita che scorre da ogni parte, e che se ne frega di ogni barriera umana.

Viaggiare è capire che siamo tutti uniti, tutti tessere di un mosaico che visto da lontano mostra un il disegno più bello che ci sia.

Viaggiare, in definitiva, è il modo migliore per provare a capirla, la vita, e da qui iniziare a cambiare la propria.

Specialmente viaggiare così.

Grazie a tutti per l’attenzione e l’affetto verso i miei pensieri di questo Blog, è stato un grande impegno scrivere tutto questo ma se avrò trasmesso un’emozione, o la voglia di partire anche solo a una manciata di persone, allora ne sarà valsa la pena.

A rivederci presto con il video!!

Stefano

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