Krasnoyarsk non si vede che col cuore

La tappa più sorprendente ed emozionante del viaggio, contro ogni aspettativa. Meraviglie naturali ed emozioni dal cuore della Siberia

Se cercate su google “Krasnojarsk”, vi farete un’idea piuttosto chiara di questa città: un ammasso di palazzi in stile sovietico dove non c’è nulla da vedere, né nulla da fare. E sapete cosa vi dico? E’ vero. Krasnoyarsk è esattamente così, una delle città forse più brutte che abbia mai visto in vita mia, ma che ci crediate o no, vi abbiamo trascorso i due giorni più intensi e incredibili del nostro viaggio….fino ad oggi, naturalmente.

Andiamo con ordine….perchè fermarsi a Krasnoyarsk? Nel nostro viaggio volevo fare una tappa molto lunga in treno, volevo sperimentare la vita sulla Transiberiana. Sarebbe stato magari più interessante fermarsi a visitare le città più famose toccate dalla ferrovia, come la Ekaterinburg dei Romanov o Novosibirsk, spezzando la tratta. Ma al di là di una banale questione di tempo, volevamo starci tanto su quel treno, prima di scendere. Ma non così tanto da catapultarsi subito da Mosca al Lago Baikal. Ci serviva una tappa intermedia, e dopo varie ricerche, Krasnoyarsk ci pareva il compromesso migliore.

La stazione di Krasnoyarsrk

Durante i primi passi nel “centro” (se così possiamo dire) ci rendiamo subito conto che la città non ha assolutamente nulla da offrire. Non una piazza, non un monumento, forse un mezzo museo senza nessuna scritta in inglese, qualche casa antica, e una cattedrale grossa come una nostra cappella di campagna circondata da grovigli di fili della luce. Il tutto affondato in un traffico caotico, puzzolente, dove si mischiano macchine di fattura sovietica a macchine moderne.

Una cosa interessante, a proposito di macchine, è che buona parte di esse ha il volante a destra, come in Inghilterra, diciamo. Altre invece hanno il volante a sinistra, come è normale che sia per come si guida in Russia. Indaghiamo su questo mistero, e scopriamo che le macchine Giapponesi (Toyota, Suzuki, ecc.) vengono importate direttamente dal Giappone tramite la Transiberiana, perché conviene. Siccome in Giappone guidano con il volante a destra, i Siberiani devono farsele andare bene così, oppure comprare una macchina europea

In sintesi, al di là di questa sterile curiosità, Krasnoyarsk e la Siberia si profilavano ai nostri occhi come la tappa brutta del viaggio, poco più che una scusa per scendere dal treno e lavarsi. Mentre pensavo a queste cose, stavo attraversando un ponte pedonale, dove stava suonando un artista di strada. Un signore anziano, piccolino, con la fisarmonica. Ha gli occhiali di quelli che fanno sembrare gli occhi più grandi, pochi denti, e l’aspetto giocherellone. Suona una melodia piuttosto triste e malinconica, che chissà per quale motivo, mi ipnotizza, e non posso fare a meno di fermarmi ad ascoltarlo, a un certo punto quasi trattenendo le lacrime. Era meraviglioso. Era come se quella musica mi stesse raccontando una storia molto triste di tanto tempo fa. In queste situazioni si vola con la fantasia, e naturalmente mi perdo a immaginare cosa dovesse significare la vita in Siberia dopo la caduta del comunismo, come dovessero essere i lunghi e micidiali inverni.

Mentre viaggio all’interno di questi pensieri malinconici scatenati dalla musica di quell’uomo, per puro caso ci ritroviamo nel mezzo di una messa Ortodossa all’interno della Cattedrale. Premetto una cosa, io non sono persona particolarmente religiosa, ma sicuramente sono attirato dalla dimensione spirituale dell’uomo. Mi piacciono i luoghi di culto, in generale. Mi piacciono le Moschee, le Cattedrali, i templi Buddhisti. Mi piace studiare le religioni, capirne le differenze, i punti chiave. Mi piace conoscere. E soprattutto, mi piace sentire sulla pelle quel “qualcosa in più” che certe situazioni sanno trasmettere a un animo attento. Il muezzin che canta al tramonto in Turchia, la preghiera ebraica sotto al muro del pianto di Gerusalemme, la musica sacra che risuona nell’organo delle cattedrali Francesi, eccetera.

Fedeli ortodossi a Krasnoyarsk

Non ho mai assistito a un rito ortodosso, e ne sono incuriosito. C’è un coro che canta in una maniera semplicemente divina. Il sacerdote dirige la funzione cantando, aumentando progressivamente la tonalità. Se dovessi descrivere tutto con il senno di poi, direi che quello era il momento della giornata dove la musica era l’ariete di cui la Siberia si stava servendo per sfondare la porta del nostro cuore occidentale, ed entrarci dentro con tutta la sua forza. Io e Andrea ci guardiamo, al volo capiamo che stiamo vivendo l’emozione più forte del viaggio, fino a questo momento.

Intorno a noi le donne hanno il capo coperto, e nessuna porta i pantaloni. I fedeli si fanno in continuazione il segno della croce, e mi accorgo che lo fanno al contrario rispetto a noi, toccano prima la spalla destra e poi la sinistra. Noto inoltre che lo fanno con tre dita unite, e non con la mano aperta come noi. Piccole sfumature di Cristianesimo. La grande transizione tra Europa e Asia passa dal paesaggio, dai volti, dalle lingue, e anche dalle Religioni, ed è nostro preciso intento gustarne ogni singolo aspetto.

Con il cuore gonfio di emozioni passeggiamo per strada e ci rendiamo conto che in questa città le donne sono di una bellezza sconvolgente. Sì, è vero, le donne russe sono famose nel mondo per la loro bellezza, ma a Mosca non è una cosa che ci ha colpito particolarmente. Qui non è letteralmente possibile fare 100 metri senza incrociare qualche ragazza che da noi sarebbe senza alcuna ombra di dubbio classificata come “modella”. Ho girato diversi posti nel mondo senza essere mai colpito da questo aspetto, ma in questa città è letteralmente impossibile non farci caso.

Di sera, mentre cerco di leggere le insegne di un gelataio, conosciamo due ragazze che miracolosamente parlano inglese. Si chiamano Sveta e Katia, rispettivamente un ingegnere e un’insegnante di ginnastica, entrambe di 22 anni.  Potendo finalmente sfruttare una fonte locale ci facciamo raccontare qualcosa della vita in Siberia. Ci spiegano che d’inverno “non fa freddo, ci sono appena 20 gradi sottozero”. Mi chiedo che cosa sia per loro il freddo, a questo punto. Ci raccontano che negli anni 90 a Krasnoyarsk era difficile trovare cibo e merci di qualunque genere. Mi vengono in mente i racconti di Terzani sulla Transiberiana, dove alle stazioni le donne prendevano d’assalto i treni su cui stavano venditori Mongoli che sporgevano vestiti dal finestrino. Altri tempi, oggi la Siberia è ricca di opportunità, piuttosto occidentalizzata e facilmente collegata al resto del paese.

Decidiamo di passare il secondo giorno in un parco naturale molto famoso da queste parti, Stolby. E’ un tratto di foresta dove spiccano alcune massicce rocce vulcaniche, come fossero dei totem naturali. Stolby non è esente da pericoli, in certi periodi dell’anno ci sono zecche in grado di trasmettere l’encefalite e ogni tanto gli orsi si avvicinano tanto da rendere necessaria la chiusura del parco, e per questo motivo ci facciamo accompagnare da una guida.

Si chiama Viktor, è un’insegnante di storia di circa 50 anni, parla pochissimo inglese, ma discretamente il tedesco, come molti Russi di quell’età: si capisce come un tempo, del resto, in Russia si preferisse studiare la lingua della DDR, piuttosto che quella degli Americani. Comunichiamo con un misto di 3 lingue, tedesco, inglese e russo. Ne escono fuori frasi degne di un cabarettista, in pratica ci inventiamo una lingua tutta nostra, e in questo modo riusciamo a comunicare.

Viktor ci racconta di aver fatto il militare nell’Armata Rossa sul lago Baikal, come comandante di carri armati, e ben presto ci rendiamo conto che si tratta di un uomo di una tempra d’acciaio, nonostante l’aspetto ordinario e rilassato tipico di un normalissimo uomo di mezza età: Inizia a camminare come uno scoiattolo nei boschi, tenendo un passo che persino io e Andrea facciamo fatica a reggere. Percorriamo circa 18km in 5 ore nel bosco, totalmente immersi nella natura. La foresta siberiana è incredibilmente affascinante, fittissima, fresca e profumata.

Betulle a Stolby

Viktor ci guida tra i sentieri immersi nelle betulle, ogni tanto si ferma a dare cibo agli scoiattoli.

Infine ci porta in cima a uno di questi pilastri di roccia, da cui godiamo di una vista mozzafiato sul paesaggio circostante: foresta a perdita d’occhio.

E’ una giornata meravigliosa, la classica giornata dove è il caso di scomodare la celebre frase di Lord Byron  “io non amo l’uomo di meno ma la natura di più”. Non c’è città, palazzo, cattedrale, monumento di quelli visti fino ad oggi che possa reggere la bellezza di una giornata spesa nel cuore della foresta Siberiana.

Il nostro prossimo viaggio ci porterà a Irkutsk, a pochi chilometri dal lago Baikal. Ed è mentre ci dirigiamo alla Stazione per prendere il treno che pensiamo a come questa città ci abbia dato una grande lezione di vita. Non è stata la Vienna imperiale, né la Mosca degli Zar a toccarci il cuore. Non è stata la magica Praga, la romantica Venezia, o la Vasravia di Chopin, ma è stata la città senza alcun dubbio più brutta di tutte quelle viste fino ad oggi.

E’ stata la Krasnoyarsk del musicista senza denti e con gli occhi grandi.

E’ stata la Krasnoyarsk del coro nella chiesa coperta da cavi elettrici.

E’ stata la Krasnoyarsk di un’uomo d’acciaio che sembra un molle pensionato.

E’ stata la Krasnoyarsk che, nonostante le sue donne bellissime, ci ha ricordato che, come scrisse Antoine De Saint Exupéry per bocca del suo Piccolo Principe, “non si vede che col cuore, l’essenziale è invisibile agli occhi”.

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