Pechino: piove, governo ladro

Diario della visita al punto di arrivo della lunga traversata eurasiatica in treno da Torino alla capitale Cinese

La sveglia suona prestissimo, a Ulaan Baatar è ancora tutto buio. Mentre andiamo alla stazione il sole inizia a sorgere sulla Mongolia così come l’emozione nei nostri cuori all’idea di prendere l’ultimo treno del nostro viaggio. Giunti in stazione il treno è lì, verde ed elegante ad attenderci sul binario 1, diretto verso i raggi infuocati del sole nascente.

Alle 8 lo scossone della locomotiva a gasolio segna il nostro addio alla capitale Mongola, e ci proietta verso una giornata di viaggio immersi, letteralmente, nel nulla più assoluto. La Ferrovia Transmongolica non è elettrificata e il paesaggio scorre sterminato al nostro fianco senza l’ingombro poco elegante dei tralicci dell’alta tensione.

Le stazioni lungo il percorso sono l’emblema di questo paese: casupole affacciate sui binari senza niente intorno e con un unico ferroviere armato di bandierina per i segnali di partenza. Scene da Far West.

Il tempo va peggiorando man mano che ci avviciniamo al confine Cinese, ma ogni buon fotografo quando il tempo è incerto tiene gli occhi aperti, perché dal contrasto di nuvole, pioggia e luce, nascono meravigliosi arcobaleni.

Maledico con tutte le mie forze questa tendenza dei treni moderni a non avere i finestrini abbassabili, e faccio il possibile attraverso il vetro sporco e pieno di riflessi del mio scompartimento per fotografare questa meraviglia che all’improvviso è comparsa all’orizzonte, per pochi minuti. La poesia di un viaggio in treno passa anche da momenti così.

Arriviamo al tramonto al confine Cinese. Qui il treno subisce l’operazione che già avevamo visto in Bielorussia, il cambio dei carrelli. La Mongolia mantiene infatti lo scartamento della Russia, come eredità del secolo passato in braccio al regime comunista, e oggi per loro questa cosa ha un importante significato politico, in quanto avere uno scartamento diverso dalla Cina limita di molto l’invasione economica del paese, cosa che i Mongoli temono moltissimo perché sarebbe una grande minaccia alla loro indipendenza. Questa è la Mongolia di oggi, una grande e meravigliosa Cenerentola schiacciata nella morsa delle due nazioni più potenti al mondo, la Russia e la Cina.

Cina, dunque. Finalmente. Sul nostro passaporto viene messo l’ultimo timbro di ingresso, e gli operai   cambiano i carrelli. Nell’operazione il treno subisce scosse fortissime, da far perdere l’equilibrio, e dopo circa 5 ore di operazioni di frontiera il treno ferma nella stazione di Erlian. Sul binario si sente musica rilassante in filodiffusione, sembra di essere dentro a un film, con la colonna sonora che accompagna i momenti strappalacrime alla fine delle scene romantiche…come del resto è il nostro viaggio, una poetica conquista dell’oriente con mezzi di altri tempi. E’ ormai mezzanotte, in Cina l’orologio torna indietro di un’ora rispetto alla Mongolia, e dopo la nostra ultima, pacifica, notte su rotaie, ci svegliamo con il treno che continua la sua marcia verso Pechino, circondato dalle meravigliose montagne del nord della Cina, dall’aspetto molto simile alle nostre Dolomiti.

Ad ogni kilometro il tempo peggiora, arriviamo alla stazione centrale di Beijing sotto un violento diluvio: è la prima volta lungo tutto il viaggio che prendiamo acqua, ma poco importa….ce l’abbiamo fatta! Siamo arrivati a Pechino, ci siamo arrivati in treno dall’Italia!! E’ un grande momento, e la soddisfazione, innegabilmente, è tanta. Anche l’acqua, è tanta, e il tempo  non accenna a migliorare. Iniziamo timidamente a esplorare la città e i vicoli tipici della sua parte antica, gli Hutong.

La nostra attenzione cade sui risciò a pedali che fin da bambini associavamo all’idea di Cina, e soprattutto alla grande minaccia delle metropoli cinesi: i motorini elettrici. Immaginate un vicolo stretto stretto attraversato da motorini che sfrecciano in entrambe le direzioni, ma SILENZIOSISSIMI.  Il nostro impatto con Pechino è essenzialmente questo, dato che la pioggia non ci permette di apprezzare nient’altro, al momento, se non il fascino di una città dove tutto è scritto in una lingua nemmeno lontanamente comprensibile ai nostri occhi. Almeno in Russia e in Mongolia, conoscendo l’alfabeto cirillico, riuscivo a leggere i nomi dei posti e delle strade. Qui siamo in alto mare, non sapremmo distinguere un ristorante da un calzolaio, anche se c’è da dire che la struttura urbanistica della città è molto visitor-friendly: la stragrande maggioranza delle strade va in direzione nord-sud e est-ovest, formando un enorme reticolo di strade perpendicolari simile alle città di stampo Romano…se giri 3 volte a destra sei al punto di partenza, per intenderci, proprio come a Torino.

Di sera ci accoglie un ragazzo che ha ricevuto notizia del mio viaggio tramite questo blog: si chiama Jacopo, è un’italiano che vive in Cina, sposato con una cinese del Sichuan, vive a Pechino da tre anni e cura personalmente insieme al suo amico Antonio un interessante blog, ABCina. Ci porta a cena in uno delle migliaia di ristoranti che si affacciano sugli Hutong intorno al tempio Lama. Insieme a noi Antonio di ABCina, due ragazze pugliesi (Sonia e Giada) e Mohammed, un ragazzo egiziano che condivide l’appartamento con Antonio, tutte persone che a Pechino ci vivono e ci lavorano. Sono tutti ragazzi giovanissimi, aventi in comune l’essere venuti qui in Cina a costruirsi il futuro. Personalmente penso che se a 20 anni molli il tuo paese e la tua famiglia per trasferirti in un paese come la Cina, devi avere una forza d’animo non comune…provo grande stima per tutti loro, e non posso fare a meno di chiedermi se io, al posto loro, l’avrei fatto. Forse no. Ad ogni modo passiamo una bellissima serata, che non sto a raccontarvi perché in fondo le serate tra amici perdono il loro fascino quando si raccontano, le battute non fanno più ridere, le situazioni che si creano sembrano all’improvviso senza senso. Tuttavia avere a che fare con gente del posto ci ha permesso di scoprire due cose fondamentali per la nostra gita pechinese. Innanzitutto di lì a pochi giorni (il 3 settembre) sarebbe stata in programma un’enorme parata militare in  Piazza Tienanmen, per celebrare i 70 anni della vittoria nella seconda guerra Mondiale. E’ ormai evidente che il leit motiv di tutto il viaggio è la guerra: dal ghetto di Varsavia, alle proiezioni militari a Mosca, Sergej che sulla Transiberiana di punto in bianco dice che la guerra è brutta, i veterani di Irkutsk, le guerre dell’impero Mongolo e ora pure Pechino.

Piazza Tienanmen durante i preparativi per la grande parata del 3 Settembre

A rendere tutto più curioso è il fatto che la Cina non ha mai festeggiato la fine della guerra, ha deciso di iniziare quest’anno. E ha deciso di farlo proprio mentre passavamo noi, giusto per metterci un po’ i bastoni tra le ruote. Perché? Perché fino al giorno della parata, la città sarebbe stata blindata. Piazza Tienanmen chiusa al pubblico, quindi addio foto celebrativa di fine viaggio. Anche la città proibita chiusa ai turisti, ci consoliamo pensando che dopotutto, una volta, era la normalità…si chiama “proibita” mica per caso, non ci si poteva entrare.

La porta sud della città proibita affacciata su piazza Tienanmen e riportante la gigantografia di Mao

Ma quel che è peggio, ce lo fa scoprire Antonio con una battuta sul tempo: “piove perché il governo è ladro”, dice. In Italia si usa dirlo, quindi ridiamo senza pensarci troppo su, ma Antonio è serio, non scherza, non intende fare una semplice battuta. “No, dico sul serio! è il governo che fa piovere”. Scopriamo quindi che il governo cinese, in occasione di importanti eventi internazionali, dove il regime deve fare bella figura, “bombarda” le nuvole con una sostanza che ha lo scopo di “forzarle” a scaricare acqua. Una pioggia comandata, con lo scopo di pulire l’aria e ridurre l’inquinamento, oltre che di garantire il bel tempo in corrispondenza dell’evento. Il mondo conobbe questa procedura, nota come Cloud Seeding ai tempi delle Olimpiadi del 2008, se ne parlò molto anche in corrispondenza dell’APEC dell’anno scorso (leggi l’articolo dedicato sul blog ABCina). Questa volta, il motivo è la  grande parata, per regalare ai fotografi di tutto il mondo le immagini di una Pechino pulita e dal cielo azzurro, oltre che un sole splendente sul giorno di festa del regime. Sembra fantascienza, ma è così. A questo punto ci rassegniamo al fatto che nei prossimi giorni non ci sarebbe stata alcuna chance di bel tempo, ma che il giorno prima della parata il sole avrebbe illuminato la capitale Cinese. Tutto ciò ha naturalmente i suoi lati positivi, Pechino è nota nel mondo per la sua aria irrespirabile e il grande inquinamento, ma questo problema non sarà affar nostro: oltre alla pioggia telecomandata, Pechino viaggia a targhe alterne e con le fabbriche chiuse da due settimane, l’aria è più pulita di quella di un villaggio Svizzero. Insomma, non vedremo la città proibita, ma forse vivremo qualche giorno in più, mettiamola così.

Jacopo ci spiega poi il perché della grande diffusione dei motorini elettrici: sempre per motivi di inquinamento, il governo ha posto un limite alle immatricolazioni di motorini con motore tradizionale, c’è una lista d’attesa di 3 anni circa. Il motorino è però un mezzo essenziale per districarsi nel grande traffico pechinese, di qui la grande diffusione dell’alternativa ecologica. Ci pare una cosa molto intelligente, ma in fondo uno dei paradossi della Cina moderna….da un lato manovre mirate all’ecologia, dall’altro nessun freno all’inquinamento industriale (Su ABCina potete trovare più spiegazioni sui motorini elettrici e la loro diffusione).

Iniziano quindi le nostre giornate pechinesi sotto la pioggia, in attesa del nostro ultimo giorno di sole prima della partenza, fissata in concomitanza con la suddetta parata. A Pechino ci sono talmente tante cose da vedere, che di fatto non basterebbe una settimana, motivo per cui facciamo una selezione di ciò che ci ispira di più, a cominciare dai templi principali della città, ovvero il Tempio Lama, il Tempio di Confucio, e il Tempio del Cielo.

Questo ci dà la possibilità di entrare nel complesso universo della spiritualità Cinese, totalmente in confusione dopo decenni di repressione del regime comunista. In Cina sono diffuse essenzialmente tre religioni, una di queste è il Buddhismo, che naturalmente vive una storia difficile a causa della questione Tibetana, e che a Pechino vede il suo principale luogo di culto nel Tempio Lama.

Uno dei padiglioni del Tempio Lama

E’ un luogo meraviglioso, strutturato come molti complessi monastici buddhisti in giro per il mondo, ovvero una cinta muraria al cui interno sorgono diversi padiglioni contenenti statue o simboli diversi. Nel tempio Lama questi padiglioni sono posti in successione, come a creare un percorso di ascesa per i fedeli. I 4 padiglioni principali contengono in successione statue di un monaco affiancato dai 4 re del cielo, poi dei 3 Buddha di passato, presente e futuro, poi del fondatore dello stile Tibetano del Buddhismo, per finire in bellezza con una grande statua di Buddha scolpita in unico enorme pezzo di legno, entrata nel guinness per essere la statua pi grande al mondo fatta da un solo pezzo di un singolo materiale.

I Buddha del presente, del passato e del futuro

E’ davvero grande, e non possiamo non immaginare quanto dovesse essere grande l’albero da cui è stata fatta questa statua. Tra un padiglione e l’altro ci sono diverse incensiere, i fedeli accendono un gruppo di 3 incensi, l i appoggiano sulla fronte, recitano una preghiera, poi si inchinano in direzione dei 4 punti cardinali e poggiano gli incensi in questo recipiente, lasciando che si consumino spontaneamente.

Il profumo nei dintorni è ovviamente speciale, tutto sa meravigliosamente di oriente. Non possiamo non contare due sostanziali differenze rispetto ai templi in cui ci siamo imbattuti in Mongolia: non si vedono mulini di preghiera, e i fedeli, generalmente, sembrano molto più concentrati e assorti nella dimensione spirituale del luogo. Siamo molto lontani dall’apparente superficialità che si percepiva intorno al grande Buddha di Ulaa Baatar. Uscendo, ci incuriosisce un cartello posto a margine delle incensiere “non accendete incensi nei giorni di vento e con alto inquinamento”. Della serie, “va bene tutto, ma non mettetevici anche voi”, a testimonianza della poca e forzata tolleranza del governo verso le forme di culto religioso.

A pochi passi dal tempio Lama c’è il tempio di Confucio; non che il confucianesimo sia una religione, tecnicamente è “solo” una filosofia di vita, cui però nella storia Cinese si è data talmente tanta importanza da arrivare a deificare il suo ideatore, Confucio, appunto. Credo che questo andasse ben al di là degli intenti di Confucio, ma i Cinesi sono sempre stati così: se c’è da assegnare dei meriti, esagerano.

La statua di Confucio all’ingresso del Tempio

Confucio, dicevo. In tempi di grande corruzione morale e decadimento sociale, questo antico saggio si inventò delle regole mirate a una convivenza civile, retta e basata su solidi principi morali, grazie alle quali riuscì a modificare l’antica società cinese e porre le basi per un solido sviluppo sociale negli anni a venire. Fu un grande filosofo, e la scuola da lui fondata diede formazione a tutte le persone di rilievo degli anni a venire, compresi gli imperatori. Un paragone nella società occidentale potrebbe essere Platone, per intenderci; grande filosofo, teorizzatore di una società perfetta, giusta, e moralmente ineccepibile.

Confucio si limitò a questo, nella sua vita, non mise mai becco nel campo della spiritualità e delle questioni trascendenti, come la vita dopo la morte, la salvezza dell’anima, e tutte quelle questioni che definiscono i caratteri di una “religione” vera e propria, tuttavia a lui e al suo insegnamento etico è stato dedicato un tempio che per secoli è stato usato come luogo di celebrazioni essenzialmente a stampo politico e sociale. Qui l’Imperatore veniva a fare i discorsi importanti. Qui nel cortile l’impero metteva monumenti per celebrare la sedazione delle rivolte. Qui i governanti di tutti i tempi venivano a fare cerimonie sacrificali (da cosa abbiamo capito, il sacrificio  consisteva in oggetti e tessuti, niente animali).

Il padiglione per la preghiera per il raccolto, simbolo del Tempio del Cielo

Oltre a Buddhismo e Confucianesimo, in Cina è diffuso il Taoismo, secondo la tradizione degli insegnamenti di Lao-Tzu, che io personalmente trovo estremamente affascinanti (consiglio a tutti la lettura del Tao Te Ching, un piccolo libro che è una sorta di “Bibbia” del Taoismo); a Pechino c’è un grande tempio Taoista, il tempio della Nuvola Bianca, che ahimè non abbiamo tempo di visitare, perché un viaggio a Pechino non può prescindere dalla visita del Tempio del Cielo.

Oltre alle religioni che vi ho appena citato, la religione in assoluto più diffusa in Cina è la cosiddetta “Religione tradizionale Cinese”: si tratta essenzialmente di un culto degli antenati e di diverse entità spirituali che si crede abitino il mondo e sottendano a tutti i fenomeni tangibili. Da noi si chiamerebbe paganesimo, forse.

Il tempio del cielo è un’enorme complesso al cui interno c’è un bel parco e diverse strutture un tempo adibite al culto propiziatorio dei fenomeni naturali. L’edificio principale è il “padiglione per le preghiere per il raccolto”, immagine simbolo del tempio, al punto che la maggior parte delle persone crede che il Tempio del Cielo sia solo questo.

Naturalmente non è così per quanto questo edificio (noto per essere completamente in legno, ma costruito senza l’aiuto di chiodi) sia il più importante tra queste mura, ci sono almeno altri due motivi di interesse per visitare questo posto. Uno è l’altare Circolare, costruito secondo una maniacale ripetizione del numero 9, questo perché il 10 è considerato il numero perfetto, accessibile solo alle divinità; l’uomo al massimo può arrivare al 9. Per questo una volta le case non potevano essere più alte di 9 metri, in Cina. Per questo l’altare circolare ha 9 cerchi concentrici a partire dalla pietra centrale, il primo fatto di 9 pietre, il secondo di 18, poi 27, eccetera. Gli scalini sono 9 per ognuno dei 3 livelli dell’altare, e il perimetro è diviso in quattro quarti di cerchio, ciascuno scandito da 9 colonne.

Altro punto di interesse è la Volta Celeste Imperiale, un padiglione usato per custodire le tavole del Dio del Cielo e degli antenati dell’Imperatore, circondato dal famoso “Muro dell’Eco”, un muro perfettamente circolare, liscio e senza fessure, noto per la sua incredibile capacità di diffondere le onde sonore. Io e Andrea ci mettiamo quindi ai due lati opposti del corsaletto racchiuso all’interno del muro, gridandoci qualcosa con la faccia verso i mattoni. E’ incredibile, vi assicuro che riuscivamo a comunicare.

La Volta Celeste Imperiale e il muro dell’eco

Come dicevo, l’universo delle religioni, in Cina, ha patito i disastri e le atrocità perpetrati dal regime comunista, che impediva ogni forma di culto, arrivando a distruggere moltissimi templi e uccidere migliaia di monaci in nome della rivoluzione culturale, distruggendo proprio la cultura millenaria di un paese tra i più affascinanti al mondo. Sono cose che mi lasciano con un profondo senso di tristezza e che scatenano inevitabili riflessioni di cui vi parlerò nell’ultimo articolo di questo blog…tornando a Pechino, e posto che il simbolo della città, ovvero la Città Proibita, per noi era proibita sul serio, avevamo ancora una freccia al nostro arco, ovvero la collina di Jinshang Park, nota come “la collina di carbone”. E’ una collina posta a nord della città proibita, e da cui si vede una bellissima visuale dell’ex complesso di pertinenza imperiale.

La cosa curiosa, è che questa collina, in realtà, non c’era, una volta: è stata costruita apposta, in parte per mettere da qualche parte tutta la terra smossa per scavare il fossato intorno alla città imperiale, ma soprattutto perché nella Cina antica, e in parte ancora oggi, era diffusa una disciplina di grande importanza nella costruzione e arredamento di una casa, ovvero il Feng Shui. In sintesi, il Feng Shui è l’arte della disposizione di oggetti, mobili e deocorazioni al fine di far scorrere meglio l’energia vitale, il Chi, all’interno delle mura domestiche. Si ritiene che una persona, ad esempio, molto sfortunata con il lavoro o la salute, possa risolvere gran parte dei suoi problemi sistemando a dovere l’area della casa corrispondente a un determinato aspetto dell’esistenza. Sovrapponendo la mappa della casa ad una mappa mutuata da uno dei principali simboli della tradizione Taoista (il Ba Gua) si arriva a capire quali sono le suddette aree. L’esperto di Feng Shui, quindi, trova il modo di correggere il flusso di energia in quel punto della casa, con ripercussioni sulla vita di chi, in quella casa, ci abita. Un tempo era un’arte tenuta in grande considerazione in Cina, applicata dai medici e dagli architetti in persona, e che oggi conosce un importante revival nella società occidentale, al punto che molti architetti tendono a specializzarsi in questa disciplina, per offrire un servizio in più a chi crede in questo genere di influenze. Vi starete chiedendo cosa c’entri tutto questo con una collina artificiale piazzata nell’epicentro di Pechino. Beh il discorso dell’ energia vitale non si applica solo all’interno della casa, ma anche all’esterno. Le case vanno costruite in luoghi ben precisi, con un ben preciso equilibrio di elementi naturali nei suoi dintorni. La presenza di un bosco, di un fiume, di un lago, eccetera, influisce in maniera seria sulla costruzione e il posizionamento di una casa secondo il Feng Shui. Se serve un bosco si piantano alberi, se serve un lago si scava un buco nel giardino e ci si mette dell’acqua….ecco, dietro alla città proibita ci stava come il cacio sui maccheroni una bella collina. Detto, fatto. E grazie al Feng Shui possiamo almeno vedere dall’alto quello che resterà il grande rimpianto del nostro viaggio.

Tra una visita e l’altra non posso non segnalare quanto io mi sia innamorato della cucina cinese. Dirò una banalità, ma ovviamente non ha nulla a che vedere con i ristoranti cinesi a cui siamo abituati in Europa. Sarà che finalmente il mio stomaco era tornato in ordine dopo le terribili vicende del lago Baikal, ma davvero mi sono goduto ogni istante dei pasti consumati a Pechino. Andrea non è dello stesso avviso, le spezie che ai Cinesi (e a me) tanto piacciono gli fanno venire nausea, e dal punto di vista alimentare il suo cuore è senz’altro rimasto in Mongolia. Non riusciamo a provare la celebre Anatra alla Pechinese, ma è chiaro che la Cina meriterà in futuro una visita più approfondita e non limitata alla sola capitale…la metto nella lista delle cose da fare quando e se avrò la fortuna di tornare qui, insieme, ovviamente, alla Città Proibita e a Piazza Tienanmen.

Verso la fine del secondo giorno in questa città, il tempo va migliorando. Dedichiamo questo breve momento di cielo terso alla scoperta di uno dei molti parchi che sorprendentemente si trovano in questa metropoli, il parco Beihai.

E’ un piccolo angolo di paradiso, un grande lago immerso nel verde, dove si muovono barche a forma di drago e dove ci imbattiamo in un grande muro su cui sono scolpiti in bassorilievo grandi esemplari di questo animale mistico così tipico d’oriente. Si tratta del Muro dei Nove Dragoni, e da cosa abbiamo capito, pare che in Cina ci siano solo 3 strutture di questo tipo.

Il muro dei Nove Dragoni

Ah, quanto fa “Cina”, il dragone. Sono esaltato. In mezzo a Beihai park sorge una collina, questa volta naturale, sulla cui sommità si erge un’enorme Stupa di cui finalmente capiamo il significato grazie alla nostra visita in Mongolia. Verso sera le nuvole da cui il governo Cinese ha forzatamente estratto la pioggia si diradano,e fanno spazio a un tramonto speciale, che tinge la città di colori fino a quel momento a noi sconosciuti. Pechino può anche essere così, lontana anni luce dalle immagini più famose che circolano negli ultimi anni, dove lo smog quasi si tocca e le persone girano nascoste dietro mascherine speciali.

Pechino è una città meravigliosa, il fascino della vita pulsante degli Hutong sfuma nella grandiosità dei templi e delle grandi costruzioni imperiali. Nelle sue strade vive un popolo dalle abitudini bizzarre, e che agli occhi di noi occidentali abituati al bon ton di tradizione europea non possono che apparire fuori luogo, per non dire disgustose. Mi riferisco essenzialmente al rapporto molto “diretto” che i cinesi hanno con i prodotti meno eleganti del corpo umano: qui è abitudine mangiare enfatizzando i suoni collosi della masticazione, ruttare sonoramente appena finito, sputare vistosamente per strada od ovunque ci si trovi, dare libero sfogo ai bisogni primari dove capita, specialmente ai più piccoli, che non hanno come da noi l’abitudine al pannolino, ma semplicemente indossano pantaloni con uno spacco sul retro, pronti ad essere agevolmente aperti a mo’ di sipario quando “la natura chiama”. (Ho visto con i miei occhi una mamma far fare pipì a suo figlio, nemmeno troppo piccolo, contro un albero ai margini di Piazza Tienanmen sotto gli occhi indifferenti di un poliziotto). Se volete approfondire questo aspetto “organico” poco elegante e farvi due grasse risate, Jacopo di ABCina raconta qui il suo poetico vissuto.

Ci sarebbero moltissime cose ancora da vedere, come il palazzo d’estate, molto distante dal centro, gli stadi avveniristici costruiti per le Olimpiadi del 2008, musei di varia natura o altri templi come la Nuvola Bianca, ma a noi resta solo un giorno di tempo, un giorno di sole, l’ultimo momento di gloria di un viaggio epocale, unico nella storia delle nostre piccole vite. Un viaggio che, come titola questo mio diario, ci porta via terra dall’Italia alla Cina, da Torino a Pechino, dalla Mole alla Muraglia. E il viaggio non può che finire con il simbolo della nostra meta, la più grande opera muraria della storia dell’umanità, visibile, si dice, persino dallo spazio: l’epica e sontuosa Grande Muraglia Cinese, dove il nostro viaggio si chiuderà in bellezza, nel prossimo e ultimo articolo di questo intenso diario di viaggio.

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