La Grande Muraglia Cinese

Ultimo giorno di Torino – Pechino. Si chiude in bellezza, con una delle 7 meraviglie del mondo moderno: la Grande Muraglia

E dunque ci siamo. L’ultimo risveglio di questo viaggio così lungo e così lento ci trova a Pechino con gli zaini pronti per andare in aeroporto. Ma il volo è alle 2 di notte, il sole splende, e il cielo è meravigliosamente blu per i motivi che vi ho spiegato nel precedente articolo. Chiudiamo il tutto in bellezza, puntando verso la Grande Muraglia Cinese.

Quando si fa questo nome, ho notato che la gente pensa subito al fatto che “si vede dallo spazio”. La muraglia ha però altri primati, ad esempio è la più sontuosa opera muraria della storia dell’umanità, ed è annoverata tra le 7 meraviglie del mondo moderno, una di quelle fantomatiche classifiche pubblicate ogni tanto da qualche rivista tramite sondaggi in rete…e visto che ve lo state chiedendo, le altre sono il Taj Majal, Petra, il Cristo Redentore di Rio, Chicen Itza, Machu Pichu e persino il nostro Colosseo.

Stando alle informazioni recuperate al museo di Kharkhorum, in Mongolia, la costruzione della muraglia è iniziata un paio di millenni fa con l’intento di proteggersi dalle invasioni degli Unni, ma di fatto fu un cantiere che non conobbe sosta nei secoli successivi, indipendentemente dall’avvicendarsi delle dinastie. E’ un po’ il denominatore comune della storia militare della Cina, una sorta di “fissazione” generazionale perpetrata nei secoli. Soprattutto, e questa è la parte veramente ironica della storia, non è mai servita a niente, visto che i popoli con serie intenzioni di invadere l’attuale Cina di certo non si facevano scoraggiare da un semplice muro. Bastassero i mattoni, nessuna città al mondo sarebbe mai stata conquistata, e sappiamo che non è andata esattamente così. Così la Cina fu più volte invasa, ad esempio dai Mongoli di Gengis Khan, per restare sul tema del nostro viaggio. Pare che la muraglia sia stata più efficace per impedire ai Cinesi di uscire che ai nemici di entrare. Quindi…tutta questa fatica per cosa?

Ad ogni modo, data la sua estensione mastodontica, è piuttosto facile intuire che la Grande Muraglia Cinese è visitabile in diversi punti lungo il suo infinito percorso. Per chi visita Pechino, ci sono essenzialmente 4 alternative (anche se a fare i pignoli sarebbero un paio in più). Vi spiego brevemente le caratteristiche di ognuna, per poi spiegarvi come abbiamo fatto la nostra scelta.

Badaling: é la sezione più vicina a Pechino, completamente ristrutturata, ma proprio per la sua “comodità” è presa di mira da tonnellate di turisti, per lo più cinesi, ogni giorno. Se avete presente qualche foto della muraglia con più gente che in metropolitana nell’ora di punta, questa è senz’altro Badaling. Non fa per noi, e mi auguro per nessuno di voi.

Mutyanyu: Uno step avanti a Badaling, ma ancora piuttosto turistica, a quanto ho letto in giro.

Jiankou: questo è l’El-Dorado degli avventurieri e dei fotografi. Un tratto di muraglia non ancora restaurato, completamente selvaggio, diroccato, dove si cammina tra gli arbusti cresciuti nei secoli tra i mattoni. Talmente selvaggio che persino diversi pechinesi non lo conoscono. Offre scenari mozzafiato e si connette alla sezione di Mutianyu, dando la possibilità, con un trekking di qualche ora, di passare dal lato “wild” a quello restaurato e assaporarne la differenza. Non avrei avuto nemmeno il minimo dubbio ad andare qui, ma il meteo ci ha obbligato ad organizzare la gita sulla muraglia nel giorno stesso della partenza, e non potevamo permetterci il lusso di rischiare di arrivare tardi in aeroporto. Sarà uno dei rimpianti del viaggio. Uno dei pochi, per fortuna.

Jinshanling: Il compromesso migliore. Una sezione spettacolare di muraglia, piuttosto lontana da Pechino, e per questo poco battuta dal turismo di massa, che si connette a Simatai, una sezione ancora non del tutto restaurata. La nostra scelta cade qui, vincolata dall’aereo che parte in serata, e dalla voglia di stare lontani dalle masse.

Per raggiungere la muraglia le possibilità sono due: o si prende un autista privato, che chiede qualcosa come 140 euro A/R (ideale se si è in un gruppo di 4 persone) oppure ci si aggrega a pullman organizzati da ostelli, alberghi, ecc. Noi optiamo per la seconda opzione, decisamente più economica: ci uniamo a un pullman organizzato dall’ostello della gioventù sito in Nanlougu Xiang, l’Hutong più famoso di Pechino.

Giunti alla muraglia, lo spettacolo, è impagabile. Siamo solo noi, non ci sono altri gruppi, complice la totale morte dei servizi in Cina nella vigilia della grande parata militare. Il trekking non è dei più semplici, 6 km di saliscendi su questo immenso muro che come un serpente si snoda sulla cresta delle montagne.

Il grande serpente di mattoni che si snoda sulle montagne

I pensieri che mi accompagnano lungo il tragitto sono essenzialmente due:

1) Quanto dovevano fare paura i vicini per spingere un popolo a fare un’opera di difesa così mastodontica?
2) Come diavolo hanno fatto a costruire in questo territorio una roba del genere?

E’ una meraviglia, non c’è che dire. La cornice paesaggistica è paradisiaca, il muro ha un aspetto solenne, che incute un sincero timore reverenziale, cosa che probabilmente era un preciso intento dei costruttori. Inoltre la giornata è perfetta, il tempo magnifico, l’aria tersa e pulita, il caldo tutto sommato sopportabile. La migliore conclusione possibile di un viaggio che, in questo momento, non riesco ancora a capire quanto mi abbia lasciato…son quelle cose che, forse, si capiscono appena tornati a casa, dopo qualche settimana.

Procediamo  lungo i 6km di muraglia verso la torre dalle 5 finestre, che segna la fine del nostro percorso. Lungo il percorso, anche per i negati dell’orientamento è possibile capire sempre qual era il lato del muro rivolto verso la Cina e quale verso la Mongolia: il lato con le feritoie per arcieri e secchiate di olio bollente, era ovviamente riservato ai nemici che arrivavano da Nord.

Giunti alla torre, si intravede il prosieguo della muraglia, non restaurata, che si snoda tra macerie, parti diroccate, arbusti, sentieri abbozzati….la tentazione di proseguire è fortissima, ma il limite di essere legati a un gruppo, è che si devono seguire i tempi dello stesso, quindi ci tocca scendere dalla montagna, per raggiungere il pullman che ci riporta a Pechino, giusto in tempo per risalire in cima alla Collina di Carbone e vedere un’ultima volta dall’alto la città proibita, questa volta illuminata dalla luce dorata di un bellissimo tramonto, che fa specchiare i bellissimi tetti dal complesso sulle acque del fossato che lo circonda. E’ questa la fotografia con cui lascio Pechino, la Cina e il mio viaggio infinito su rotaie.

Ritorniamo all’albergo, le strade sono deserte. Nessuno si muove, le macchine sono pochissime, Pechino è lontana anni luce dalla sua nomea di metropoli ultra-trafficata. I negozi sono chiusi, trovare un posto per mangiare è una mezza impresa…volevamo chiudere in bellezza con la rinomata anatra alla pechinese, ma niente, si ripiega sui soliti spiedini, l’unica possibilità offerta dalla serata. Per strada il silenzio, la grande Metropoli è ridotta a paesino di provincia. Incrociamo due bambini che giocano mentre cantano una melodia che riconosco: è l’inno nazionale Cinese. Questa è forse l’immagine più simbolica della Cina patriottica, plasmata dalla propaganda di regime a poche ore dalla grande parata militare del 3 Settembre.

In aeroporto ci sembra tutto così strano. Abituati alle stazioni ferroviarie, gli aeroporti mostrano il loro sapore freddo e standardizzato, a misura di mondo globalizzato. Le misure di sicurezza sono eccezionali, siamo costretti a smontare pezzo per pezzo il nostro bagaglio a mano, e nel cuore della notte, per la prima volta dopo un mese, voliamo. E’ stranissimo, lo spazio per le gambe è poco, e a confronto gli scompartimenti angusti dei treni siberiani diventano enormi nei nostri ricordi. Dopo circa 12 ore di volo e un lungo scalo a Mosca arriviamo in Italia in tempo per l’edizione serale del TG dove finalmente la vediamo, questa parata rompiscatole.

Se penso che ieri ero in Cina e oggi in Italia mi sento frastornato. E’ vero, in aereo si fa prima, ma ci si perde tutto questo immenso pezzo di mondo, e le infinite riflessioni che tutte le transizioni che abbiamo vissuto portano con sé. Ma di questo vi parlerò nell’ultimo articolo, dedicato alla sintesi di questa esperienza così fuori dal comune. Oggi mi siedo, finalmente a casa mia e penso che sì, è stata una faticaccia, ma è stato un viaggio semplicemente incredibile.

Di quelli che nella vita si fanno una volta sola.

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